giovedì 26 febbraio 2015

OSTERIA DI FORNIO: LA CUCINA DEL SOLE

Capita di imbattersi in locali, che siano osterie o ristoranti, di cui ci si affretta a prendere nota, della serie “qui ci torno quando mi voglio premiare o ricaricare”… capita… non troppo spesso.  Non è così frequente  che  luoghi consacrati al piacere della convivialità trasudino di tutto ciò che può farci stare bene.
Sì perché non basta che il piatto sia buono, che soddisfi il nostro palato. Anche l’ambiente che ci ospita vogliamo che sia accogliente e caldo , come un abbraccio, e che il servizio coroni in cortesia. Solo così ci alziamo da tavola dicendo di essere stati bene, di aver voglia di ritornare in quel  locale. Che poi è la conferma ricercata tanto dal cuoco, quanto dal ristoratore, senza distinzione alcuna di ordine e di grado, come cartina di tornasole del proprio operato.
Con questa maturata coscienza del nostro  bisogno ci avventuriamo, oggi più di ieri, alla scoperta o alla riconferma dei locali. E al di là delle tendenze, passeggere, ci sono locali che tengono, che continuano ad essere scelti, riconfermati. Premiati dalla gente.
Guardando al parmense non si può non citare la deliziosa Osteria di Fornio, appartata in un angolo della campagna fidentina, fra strette stradine costellate di poche case.
L'Osteria di Fornio non è un luogo di passaggio. Non ci si transita, ci si va appositamente. E questo ne avvalora la scelta. Ma perché attrae? Cosa porta ad arrivare fino qui? 


Certamente un benvenuto col sorriso, di  quelli che tolgono subito dall'imbarazzo di essere in casa d'altri e ti invitano ad entrare in un'atmosfera fresca e gioiosa, che da subito senti un po’ tua. E poi  la proposta di un menù ricco e ben articolato che solca adeguatamente la tradizione emiliana e, soprattutto, sa fare saggiamente leva anche sui palati più raffinati.
Nella ricca scelta di piatti infatti non passano mai inosservate le stuzzicanti proposte di antipasti e dessert , punte di diamante del locale che, è il caso di dire, aprono e chiudono in bellezza l'esperienza, perché di esperienza si tratta, in questa osteria.


È infatti qui che Cristina Cerbi, cuoca e titolare dell'osteria insieme al marito Luca Caraffini, esprime tutta la solarità e l'evidente ottimismo che la caratterizza. Non si riesce a rimanere insensibili e tantomeno immuni dalla proposta "antipasti dell'osteria",  un' intrigante sfilata di almeno una decina  fra i più golosi antipasti (polenta fritta e salumi, fichi e culatello, cipolle rosse caramellate e gorgonzola, frittella di ceci con lardo di colonnata, sformatino di zucchine, assaggio di parmigiano di diverse stagionature, insalatina di zucchini, pinoli e parmigiano...e altro ancora).
E pure non si riesce facilmente a rinunciare, a fine pasto, a un'emozionante "tavolozza di dessert" da condividere con i commensali. Si tratta dodici/quindici piccoli assaggi di dolci tra zuppa inglese, crema catalana, tiramisù, tenerina al cioccolato, gelato artigianale, torta sbrisolona e zabaione, cheese cake, mousse allo jogurt, torta di mele e gelato alla cannella...  capace di far calare, per qualche attimo, il silenzio in tavola, intenti come ci si ritrova a gustarli uno dopo l'altro.


È immaginabile quindi lo stato d'animo con cui si esce da quel locale. Riconciliati. Riconciliati con se stessi e forse un tantino anche con il mondo.
E qui inevitabilmente una riflessione circa il ruolo sociale che abbiamo sempre più bisogno di riscontrare nella cucina, vale a dire la capacità di farci stare bene, dispensando quel buonumore che agisce da potente antidoto alla durezza dei tempi che stiamo vivendo. 


Una sorta di "cucina del sole" quindi, accogliente, calda, confortante, capace di farci ritemprare.
L'Osteria di Fornio docet.

Simona Vitali

L’Osteria di Fornio
Località Fornio, 78
43036 Fidenza PR
Tel. 0524 60118
www.osteriadifornio.it
Pubblicato anche su www.parmataste.com

martedì 24 febbraio 2015

LA PORTA A VIAROLO, TRATTORIA DELLA COMUNITÀ

È in attività da 35 anni. Giuliano Zerbini de La porta a Viarolo fa lo chef da sempre. Da sempre ha dato tantissimo a questo lavoro che non fa sconti ma il cuore lo ha messo davanti a tutto. E quando, più di 20 anni fa, si è creato la sua famiglia ha deciso di dedicare ai suoi tre bimbi la domenica, scegliendo di tener chiuso quel giorno di potenziale tanto lavoro per potere stare con loro. Non voleva perdersi questo tempo prezioso e non voleva che i figli crescessero col rigetto di questo mestiere.


Nel suo percorso il felice avvio di più di un locale (Antichi sapori, La Porta di Felino) cadenzato anche da cambi di rotta della sua famiglia, e sempre! alcuni punti saldi: il riproporre ovunque le ricette della vera cucina parmigiana con un occhio ai piatti da non dimenticare e la presenza della moglie Paola in prima linea in sala, come a segnare un legame di coppia indissolubile.
Andare da Ciccio, così viene amorevolmente soprannominato Giuliano Zerbini, tra un magistrale piatto di tortelli, una vecia col caval pist e un budino bicolore nella ciotola come una volta, significa fare un tuffo nella genuinità dei sapori, un tuffo nel passato -che è ricchezza- in un'atmosfera fatta di muri in sasso facciavista e linde tovaglie, senza troppi fronzoli.
Ma soprattutto significa entrare nel cuore di una famiglia, compatta, che sa accogliere, che apre la porta, come già il nome del locale sembra preannunciare. Una famiglia al completo, da quando anche i figli hanno deciso di entrare in attività con i genitori: Nicole affianca il padre in cucina ed è specializzata in golosissimi dolci “della nonna” ma non solo; Simone, che è il primo ad accogliere all’ingresso con un sorriso cortese, è in sala; Martina si unisce alla famiglia nei fine settimana, quando il tempo glielo permette.


Calati, per scelta, nel cuore della piccola comunità di Viarolo, frazione di Trecasali nella bassa parmense, quella comunità l'hanno abbracciata, ne sono diventati i naturali catalizzatori. Sia a pranzo che a cena non c'è una volta che non ci sia un tavolo prenotato da viarolesi e le feste comandate non sono feste se non si passa di lì o addirittura non si organizza qualcosa insieme.
Se la mattina di Natale è un via vai continuo di gente che si da appuntamento per gli auguri e per qualche piatto da asporto, l'ultimo dell'anno è una sorta di apertura obbligata per i compaesani che riempiono il locale. E così il Carnevale, che pure trova lì il suo fulcro. 

Non mancano le serate a tema, come quella della paella, che trovano sempre una comunità scattante e ricettiva, smaniosa di far festa in quel locale un po’ speciale, perché sa di casa.
Giuliano è di quelli che credono che le cose possono migliorare già a partire dalle proprie piccole azioni: lo ha fatto non ritoccando i prezzi in questi ultimi anni di crisi, lo fa ogni volta in cui agisce da collante per la sua comunità.
Giuliano deve sapere che questi quotidiani gesti che scandiscono la sua vita da tanti anni sono molto più eclatanti di quanto creda. Lo percepisce chiunque entri nel suo locale e semplicemente viva di quell' atmosfera vera, carica di cose che contano.

Simona Vitali

La porta a Viarolo
Via Provinciale, 103
Loc. Viarolo (PR)
Tel. 0521 836839
www.laportaaviarolo.it

Pubblicato anche su www.parmataste.com

domenica 22 febbraio 2015

TUTTO PARTE DA QUI

Massimino, Alba e Rosetta
Tre sono i valori che i miei nonni, chi nell’osteria chi nella bottega, hanno espresso nell’esercizio quotidiano dei loro mestieri. Li ho assimilati quasi inconsapevolmente e, divenuta adulta, sono emersi prepotenti a guidarmi come fari nell’intrigante e variegato mondo della cucina.

Luciano, Renato, Carlo e Anna
Il primo valore: la maniacale ricerca e selezione di materie prime e prodotti
Nel lontano 1937 il mio nonno materno, Massimino Pelosi, rilevava insieme alla sua famiglia una bettola, nei pressi della stazione tramviaria di Felino (PR), destinata a lavorare, e tanto, per 54 lunghi anni.
A quell'epoca si presentava come un'assai curiosa baracca di  legno in stile svizzero per i suoi festoni che contornavano i tetti spioventi, adibita a osteria e spazio vendita di prodotti di prima necessità.
La chiamavano in tanti modi: l'Osteria della stazione, da Masmèn o più semplicemente la Baràca, e più avanti Betolén.
Da Masmèn, insieme a una ciotola di vino, si potevano assaporare anche cibi gustosi. E ciò che, soprattutto oggi,  lascia più stupiti è lo scoprire che dietro ad ogni prodotto proposto o piatto cucinato c'era una storia. Tutto aveva un suo perché, essendo passato dalla meticolosa valutazione di un palato sopraffino e da sapienti e scrupolose mani.
A partire dalla scelta accurata dei vini che Massimino andava personalmente a selezionare e acquistare, in sella alla sua motoretta Ducati Cucciolo, restando per alcuni giorni lontano da casa. In quegli inverni precoci tornava intirizzito dal freddo, con le ciglia rigide e bianche di brina.
Ducati Cucciolo

Non meno impegnativa la scelta dei salumi che faceva stagionare in quelle cantine sotterranee, costate sudore e sangue perché sfondate a mano, a colpi di piccone e badile, con l'aiuto di suo padre e dello zio Gigio. Ne uscivano prosciutti sublimi e salami che ‘facevano l’olio’, segno di prolungata stagionatura.
Un vero e proprio rito era la preparazione della spalla cotta. 
“Mio padre acquistava solo spalla cruda di San Secondo Parmense e la  predisponeva alla cottura immergendola in un bigoncio di acqua fredda, cambiata ogni giorno per un’intera settimana, per far sì che la carne si ammorbidisse. Seguiva poi la cottura, effettuata in una caldaia su fuoco a legno in cui la spalla trovava collocazione insieme d abbondante acqua e verdure aromatiche” racconta mia madre Alba.
Spalla cotta di San Secondo
Il tutto era accompagnato da un’altra specialità: la torta fritta, un piatto povero ma gustoso di antichissime origini. Solitamente veniva fatta e tirata a mano con la cannella.
“Negli anni’70 - ricorda Alba - mio padre ideò anche la macchina elettrica per impastare la torta fritta, che costituì un aiuto notevole al suo lavoro in espansione”.
La ricerca degli ingredienti eccellenti era il filone comune di questa famiglia, la regola dettata da un’intransigenza che non concedeva sconti alla qualità del prodotto finito.
Quella caratteristica baracca in legno di inizio ‘900 è stata, nel corso degli anni,  sostituita da una struttura in muratura, mantenendo però sempre quell'impronta, quell'essenzialità nella forma e grande pregnanza nella sostanza. Oggi quei muri sono intrisi indelebilmente di un vissuto ricco e prezioso, l'impagabile cantina sfondata a mano è stata ampiamente valorizzata, avendo ispirato il nome di un ristorante, La Cantinetta, che proprio qui ha conquistato la stella Michelin, rimanendo sulla breccia per un ventennio e lasciando, da qualche anno, il testimone ad un'osteria, chiamata l'Osteria della stazione per omaggiarne le origini.
Quale soddisfazione più grande per un lungimirante oste di provincia che tanti anni prima aveva fatto della ricerca dell'eccellenza la propria missione!
Ristorante La Cantinetta
Il secondo valore: il rito nella preparazione di specialità gastronomiche
Entrambe le nonne, Rosetta e Anna, si applicavano ogni giorno alla creazione di specialità gastronomiche, perché a questo avevano abituato i propri clienti. Non posso dimenticare la metodica predisposizione di questi momenti in cui si apprestavano a preparare in modo rigoroso tortelli d'erbette, di zucca o di castagne e torte dolci, tortelli di marmellata o biscotti.
Ogni ricetta contemplava una sorta di sacra ritualità che si ripeteva, sempre uguale a se stessa, ogni volta che queste due provette rezdore vi mettevano mano. Lo stesso Baldassarre Molossi, indimenticato direttore della Gazzetta di Parma e raffinato gourmet,  sosteneva che “il rito si ripete nel tempo: senza fantasia. La forza sta qui: i bastioni della perseveranza stroncano gli attacchi delle contraffazioni, difendono la civiltà della cucina”.
Tortelli di zucca

Non posso non citare la pazienza certosina di nonna Rosetta quando in quella linda cucina-laboratorio, rivestita di mattonelle bianche “tirate a specchio”, preparava il ripieno di castagne.
“Dopo l’ammollo e la lenta cottura le castagne, venivano aperte una a una per togliere le impurità e poi passate a mano in un fine setaccio. Si macinava poi la mostarda finissima, si riducevano in polvere gli amaretti e si assemblava il tutto innaffiando con ottimo rhum. Il prodotto finale era un aromatico impasto liscio e vellutato che andava fatto riposare per alcuni giorni perché maturasse il suo sapore migliore” spiega Alba.
Le torte inzuppate della nonna Anna erano certamente il suo cavallo di battaglia, ciò che l'ha resa unica e ricercata anche da clienti fuori provincia, e anche la ricetta più impegnativa.
La preparazione richiedeva almeno due giorni di scrupoloso lavoro, a partire dalla realizzazione della base soffice con sole uova, zucchero e fecola. Quante volte, tentando di emularla, ho schiantato la torta!
E poi, il giorno successivo veniva la suddivisione della torta in tre dischi e la farcitura, altro esercizio in cui il non detto, la mano, valeva molto di più di qualsiasi indicazione scritta. Sì perché il segreto era la giusta inzuppatura, data da un mix di liquori (fra alchermes, sassolino, rosolio e altro) che la nonna alternava con sicurezza, dosandoli a occhio. La base inzuppata veniva quindi rivestita da uno strato di crema pasticcera e un sottile velo di panna montata, poi la sovrapposizione di un disco inzuppato, altro strato di crema di cioccolato e panna fino al cappello della torta. A quel punto la torta veniva rivestita di un generoso strato di panna e relativi puffetti.
Ecco, quella torta non l'ho più ritrovata, né per mano di rezdora né per mano di pasticcere. E' rimasta là nel limbo delle cose buone che troverò in Paradiso.

Il terzo valore: la gratitudine
L'affabilità con la clientela, attraverso il piacere reciproco di uno scambio di battute durante il servizio, spesso molto di più: la confessione delle proprie pene o preoccupazioni. Perché anche questo era un bisogno di chi si recava alla bottega o all'osteria.
In particolare il nonno paterno Renato, nella sua bottega di alimentari e gastronomia, spiccava per una simpatia contagiosa che spesso trascinava in fragorose risate le massaie in coda per la spesa e non era inusuale che ne afferrasse una per farle fare un giro di valzer. Quel lavoro lo amava davvero, era come la sua ricarica. Faceva di tutto per accontentare i clienti. Ciò che di nuovo gli chiedevano il giorno successivo glielo aveva già procurato. Grande ottimista, amava la vita in tutte le sue sfaccettature e ti travolgeva di buonumore. Giunto alla inevitabile decisione di abbassare le saracinesche continuava a ripetere che il più grande errore della sua vita era stato quello di smettere!

Simona Vitali