mercoledì 27 maggio 2015

IN VIAGGIO SUL PO VERSO EXPO CON IL CAPITANO LANDINI

Mi interrogo, a volte, cercando di dare volti concreti, tangibili a stati d’animo astratti, immateriali come la felicità, la gioia… ecco, se dovessi dare un volto all'entusiasmo non esiterei a dire: Giuliano Landini, il capitano della Stradivari (Boretto, RE), la più grande imbarcazione fluviale d’Italia. 

Motonave Stradivari
L’associazione CheftoChef non ha esitato a riconoscerlo affine alla propria visione  di un viaggio verso l’Expo attraverso tre vie: la via d’acqua, la via Emilia e l’alta via dei parchi.
È ufficiale, Giuliano Landini sarà l’esclusivo compagno di avventura per il viaggio lungo il Po, colui che dal delta del Grande Fiume condurrà la Stradivari, come una grande arca, ad attingere il patrimonio agroalimentare dell’Emilia-Romagna. 

Il capitano Giuliano Landini
Attraccherà, nell’arco di un intero mese, nei più diversi e rappresentativi territori che si snodano tra il delta e Piacenza, fino a consegnare tutto questo sapere del territorio regionale ad Expo. Con una maturata consapevolezza di valore, da parte degli abitanti di questa regione, che scopriranno di non aver ancora conosciuto abbastanza, e da parte dei 50 cuochi  di CheftoChef che, tutti quanti, giocheranno la loro parte in questo straordinario processo. 

I 50 cuochi di CheftoChef (foto Ivano Zinelli)
La cucina d’autore a valorizzare i prodotti locali fra le braccia del Grande Fiume, a bordo di un’imbarcazione che con i suoi interni raffinati e la grande terrazza a cielo a aperto ti fa sentire in crociera. Un sodalizio straordinario al solo pensiero, un’occasione indimenticabile per chiunque deciderà di prendervi parte.
Ma chi è il capitano Giuliano Landini? Certamente uno dei più profondi conoscitori del Grande Fiume, ma soprattutto uno dei più accorati difensori e promotori della straordinaria ricchezza del Po (“portare la cultura del Po fuori dall'argine” sostiene il capitano), e ancora di più delle incommensurabili potenzialità che ha in seno. 


In questo non si rassegna Giuliano e lo farà finché avrà fiato in gola, lui che l’acqua del Po ce l’ha nel suo dna, come ama dire.
La sua carriera è iniziata a 200 km all’ora, a 19 anni, sugli specchi dei più grandi fiumi del mondo con la motonautica, che da generazioni scorreva nel sangue di famiglia. Tre volte campione del mondo e vincitore di un centinaio di gare, Giuliano ha contribuito in tanta parte a fare di Boretto un polo della motonautica. 

Giuliano Landini, campione di motonautica
Amatissimo per quel suo modo di correre grintoso, intuitivo, ha coinvolto, appassionato i suoi concittadini (“Tutto il paese ci seguiva in gara, nei successi e nei momenti dolorosi”). Chiacchierando con Giuliano percepisco che la sua mente è aperta. Su questo deve avere inciso lo spaccato del genere umano che ha frequentato: decine e decine di avversari di nazionalità diverse che lo hanno ospitato nel loro Paese e lui ha accolto a casa sua, battezzata casa dell’ONU. Memorabili le grandi apparecchiate e scorpacciate dei manicaretti della mamma, la signora Gina.

Gara di motonautica
Chiusa la parentesi delle gare è rimasto il legame viscerale di Giuliano con il Grande Fiume e il non riuscire a concepire di distaccarsene. Da qui ha preso forma l’idea di fare realizzare un taxi veneziano e avviare le pratiche per il turismo fluviale. Grazie all'agilità nei movimenti questa imbarcazione riusciva a solcare gli affluenti, ad entrare nei meandri del Po. Finché un giorno, giunto a Mantova, non è stato attratto da una grande imbarcazione attraccata a Porto Catena, la stessa che anni addietro accompagnava festante nelle sue corse lungo gli argini insieme agli amici. 
Scorcio del Grande Fiume da prua
Era il 1975 quando fu varata la Stradivari, aveva tredici anni Giuliano e non immaginava neanche lontanamente che quella motonave un giorno sarebbe diventata sua. I colpi di fulmine giocano questi scherzi, sei disposto a fare follie. E così è stato: la lucida follia di Giuliano e di un amico imprenditore reggiano ha portato all’acquisto, ristrutturazione e ritorno della Stradivari nel suo habitat, nel 2003.
Ma in questa avventura che oggi si perpetra non senza grandi sforzi e tanta, tanta determinazione il capitano non è solo. Mi hanno sempre insegnato che la forza di sussistere in un’impresa ardua non è data da una sola persona. Ci deve essere un contorno che rappresenta la motivazione più vera. In questo caso c’è una donna bella, di raffinata intelligenza e di irresistibile accento francese. 
È France Gravet, la compagna del capitano, lo sguardo di chi ha visto tanta vita e così è : per anni ha operato come interprete in diversi Paesi del mondo. Ora mette a disposizione la sua professionalità sulla Stradivari e quel tocco femminile sempre gradito.

Giuliano Landini e France Gravet
Se Giuliano fa fatica a trasferire cosa rappresenta per lui il Po, tanto sente grande la portata della domanda e abbozza un “mi emoziona sempre”, senza riuscire a trovare bene altre parole, ci pensa Maurizio, il maître di sala, parlandomi de “il Sacro, nel senso di entità a cui si deve rispetto, anche solo nel parlarne. Senza eccessi. Quasi come a non volerlo istigare, il Grande Fiume già troppo deturpato, danneggiato…”
Maurizio, l’acuto osservatore che sa delineare in estemporanea fugaci ritratti di persone o situazioni, per iscritto. Poche righe, significative, che suonano come dediche. Lui osserva, si ritira a scrivere poi torna con un foglio in mano e ti omaggia del pensiero. Mi racconta il capitano che Maurizio fa spesso così con gli ospiti.

Giuliano Landini e il maitre di bordo, Maurizio
Mentre parliamo fa capolino Giacomo, il nostromo, un estratto di vivacità e astuzia. Lo dice lo sguardo che fora e il suo muoversi con grande agilità. Mi viene descritto come l’uomo dagli otto sensi. Percettivo a mille, non gli sfugge nulla, con lui la Stradivari è sotto controllo di giorno e di notte.
Calata in questo equipaggio ci sto proprio bene. Sa accogliere ed è un'inesauribile fonte di informazioni e aneddoti. Non esito neanche un attimo a dire: “Riflettori puntati sul capitano e il suo equipaggio!”. Ci affidiamo alle loro mani esperte per poterci abbandonare all’ascolto di quanto il Grande Fiume ha da dirci mentre, seduti ai tavoli della terrazza, ci  portiamo alla bocca gli inconfondibili sapori di quella terra e con lo sguardo intorno catturiamo attimi irripetibili, fino a sentire che gli occhi brillano. Di estasi  e di commozione.
Simona Vitali

Isola degli internati sul Po, a Gualtieri







mercoledì 20 maggio 2015

IL MIGLIOR SCATTO DELLA FOTOGRAFIA EUROPEA

Il miglior scatto della fotografia europea è Reggio Emilia, che si apre e svela la propria anima lungo un percorso spalmato sull'intera città, dove fanno tappa le più svariate installazioni e mostre fotografiche. A rimarcare la meraviglia e, a volte, la sorpresa di scoprire certi luoghi. Inediti, anche per chi ci abita.

Piazza Fontanesi
Bella Reggio Emilia, bella anche nella quotidianità, quando inforchi la bicicletta e ti diverti ogni giorno a percorrerla facendo disegni diversi nell'atmosfera delle vie dagli eleganti palazzi con interno a sorpresa, dei vicoli d'antiquari a misura d’uomo, dove l’occhio corre a destra e sinistra, come a rilevare quel qualcosa di diverso che ogni volta riserva. 

Piazza San Prospero
L’apertura improvvisa di un portone, sempre chiuso, con lo svelarsi di un giardino interno, il nuovo allestimento di una vetrina, un divertente sketch fra due persone di passaggio... così ci si ricarica in vista di lunghe e intense giornate di lavoro. Sì perché i reggiani sono quelli del lavoro a testa bassa, non urlato ma molto fattivo. Quelli delle idee sottocute che quando si manifestano sono geniali, entusiasmanti. Standoci dentro, come nuova cittadina, mi accorgo sempre più che ci sono sobbollori diffusi, idee che prendono forma.

In progress di Milla Mariani
Gli artisti per esempio pare che qui si richiamino fra loro, collegandosi, creando intrecci, come a dar vita a una sorta di comunità, per svelarsi più che mai in certe occasioni ufficiali, manifeste, che li riguardano. E’ il caso della Fotografia Europea che li vede  impegnati ad alimentare un circuito in cui varcano, con le loro opere, gli spazi privati e più reconditi della reggianità, i cortiletti interni, le segrete stanze di studi o appartamenti abitati, gli scantinati, riuscendo a regalare sferzate di emozioni, diverse, inaspettate, inebrianti. È proprio l’insieme che conquista, i luoghi straordinari e le foto che lì trovano la loro collocazione.
Non si può non calarsi, nel vero senso della parola, nella casa di ringhiera di via Gobbi 3, battezzata come Atelier Viaduegobbitre, autentica perla incastonata in una via già di per sé suggestiva. 

Atelier Viaduegobbitre
Un portone spalancato e un brulichio incessante di persone intorno è il primo invitante messaggio. Basta varcare la soglia per essere prima travolti da un’inaspettata e ancora autentica struttura poi sorpresi da tutto ciò che ogni spazio utile riserva. Dalle cantine alla balconata interna che corre continua fino all'ultimo piano. Lì abitano e lavorano artisti in pianta stabile: si entra addirittura nelle loro vite.  Ma ci sono anche artisti ospiti della casa, per l’occasione.

Sandland di Gianluca Micheletti
Così gravitando da un ambiente all'altro ci si trova ad indossare abiti diversi: da quello di Gianluca Micheletti  che accultura e fa riflettere sull'altra faccia, disarmante, di Sharm el Sheik a quello di Camilla Biella che ha saputo guardare al pane con altri occhi svelando, in una mollica piuttosto che in una crosta, paesaggi e geografie immaginari.

Il pane, ricerca di Camilla Biella
E al tempo stesso è impossibile rimanere insensibili agli scatti di Carlo Vannini al Cimitero delle Fontanelle di Napoli, esposti nella suggestiva cornice di monili e sculture di fili di alluminio, ottone e rame nel laboratorio di Laura Cadelo Bertrand, raffinatissima sensibilità scultorea. 

Laura Cadelo Bertrand
Grande respiro, in un concentrato di mostre fotografiche, anche quello offerto dalla pittrice  Alessandra Zini, con le sue tele, ormai ben note fuori dai confini. Ma tutte, davvero tutte le esposizioni di questa  struttura hanno un particolare sapore, complice certamente anche il luogo.

Opere di Alessandra Zini
Non da meno è l’iniziativa di un’intera via, via Roma, con le sue sedie fucsia, il colore della Fotografia Europea, apposte davanti ai portoni a mo’ di invito ad entrare nei palazzi. E scoprire con sorpresa e un filo di emozione che diverse delle mostre parlano di accoglienza, proprio a partire da quella rappresentanza multietnica che via Roma la abita.


Come il particolare lavoro di  Pierluigi Sgarbi ed Elena Viappiani  che raccontano la storia di oggetti di altre terre, immortalati presso le case di abitanti stranieri di via Roma, e dei significati che assumono una volta decontestualizzati, arrivando a raccontare nuove storie.

Il Niño di Pierluigi Sgarbi
E proseguendo a zig zag nella via, dentro e fuori dai portoni, un tuffo al cuore: 17 sublimi scatti dal mondo che sfiorano il metafisico, la mia sosta senza tempo dentro la Galleria 13 a perdermi in 17 viaggi di altra dimensione, l’opera straordinaria del fotografo statunitense Michael Kenna

Michael Kenna alla Galleria 13 di Reggio Emilia
Uscire come frastornati, al risveglio da un avvolgente, bellissimo, sogno. Senza parole! E procedere, passo dopo passo, entrando nel cuore colorito di via Roma e trovarsi, dopo un’immersione nel mondo, il mondo lì dentro, tangibile, presente.

Questo è il mio nome, di Nicolò degli Incerti
La più grande emozione che la Fotografia Europea mi ha regalato. Una doccia calda seguita da una doccia fresca: un calarmi nel qui e ora che palpita. Che è vita. Me lo ha “detto” Nicolò degli Incerti che ha rubato scatti a “Questo è il mio nome”, un laboratorio teatrale con richiedenti asilo e rifugiati  dell’Africa occidentale sub sahariana (progetto Mare Nostrum e Sprar di Reggio Emilia), ad opera del Teatro dell’Orsa e Coop Dimora di Adamo. Questi ragazzi hanno messo in scena una sorta di odissea, la loro. Che in fondo è la storia di tutti noi. Uomini.

Simona Vitali


mercoledì 13 maggio 2015

IL TEMPO DI UN CAFFÈ

Sto attraversando di passo la suggestiva piazza di Castell'Arquato (PC). Non avrei tempo di fermarmi, ma il richiamo del caffè è più forte e mi fa guardare intorno. Sull'angolo vedo un bar e poco distante da lì un'enoteca, dove una donna bionda con i capelli raccolti è intenta a sistemare, con invidiabile energia, i tavolini che si affacciano sulla piazza. 
D'istinto mi porto in quella direzione. Il caffè lo bevo lì. Mi dirigo verso l'entrata e lei mi segue, accogliendomi con un buongiorno squillante e caldo. Ordino un caffè al banco e, mentre lei è intenta a prepararmelo, dato che vado di fretta, anticipo il pagamento, chiedendo conferma del prezzo: “un euro? Di più?”. Il costo di un caffè espresso è sempre più disomogeneo. La signora risponde “qui costa un euro, non mi hanno ancora comunicato di aumentare il prezzo” e prosegue “so che c'è chi chiede un euro e venti... anche a mantenere locali belli è costoso..”.
E io “dove c'è un bel servizio pago volentieri”. Lei aggiunge: “che poi non è il caffè in sé, spesso si ha bisogno di altro”.  Ammicco un sorriso, annuisco. Quel suo discorrere, dispensando in modo così naturale piccole riflessioni, mi intriga, sa di una che osserva parecchio e rielabora.
Percependo probabilmente la mia curiosità, attacca, senza che le chieda nulla, con una rapida ma efficace pennellata sulla cultura del caffè. Si fa indietro di 40 anni, quando ha iniziato a lavorare in questo settore, ricordando come un tempo il caffè fosse solo per gli uomini, che si trovavano al bar a discutere di campi e raccolti, mentre le donne rimanevano a casa a fare le loro faccende.
Poi aggiunge che ne avrebbe tante di cose da dire circa l'evoluzione delle abitudini all'interno del bar, nell'arco di questo quasi suo mezzo secolo di esperienza... Né io né lei abbiamo il tempo di approfondire oltre. Uscendo rimane quel qualcosa “in sospeso” che mi fa dire che questa conversazione non finirà qui. Oggi la scena è tutta per lei, Loredana Corda, non titolare ma gestore dell'Enoteca Comunale di Castell'Arquato. Una donna che condisce il suo mestiere di quella piacevole accoglienza che suona come una coccola. Quella di cui spesso abbiamo bisogno quando facciamo una sosta, magari di fretta, per un caffè. Tornerò da Loredana. Ha molto di cui arricchirmi. E la gioiosa voglia di condividerlo!  
Simona Vitali







giovedì 7 maggio 2015

LE FELICI SCOMMESSE DEI FRATELLI LEONESSA

Sei di Cercola (NA) se frequenti il pastificio gastronomia Leonessa come un immancabile appuntamento infrasettimanale, ma soprattutto la domenica. La festa non è festa se non si passa da questo gioioso, immenso  e invitante luogo, inno all’universo della pasta fresca e dei piatti cucinati, ma che è innanzitutto punto di incontro e spazio di relazione  per un’intera comunità.
Sei di San Giorgio a Cremano (NA) se non puoi fare a meno di passare dal pastificio gastronomia Leonessa, confratello di quello di Cercola, pure questo luogo di ritrovo per eccellenza oltre che paradiso dei più esigenti gourmet.


Ma cosa sta dietro queste attraenti attività che a tratti fanno pensare a locali di tendenza, tanto è il  potere aggregativo che esercitano sull’intera comunità locale? Ci stanno tre fratelli, Oscar, Luigi e Diego Leonessa, che a inizio anni ‘80 si sono impegnati a dar vita a un pastificio artigianale (in continuità con l’attività iniziata dal padre nel 1974), ponendo le fondamenta nel “giardino di papà”, il terreno antistante la casa di famiglia. E una volta messa a punto l’attività del pastificio, con una puntigliosità non comune volta alla realizzazione di una pasta di alta qualità, si sono ingegnati, e continuano a farlo senza sosta, nel creare essi stessi canali e modalità di veicolazione dei propri prodotti. Alla faccia delle più agguerrite azioni di marketing sfoderate oggi dalle aziende. 
Basta entrare, tra il sabato e la domenica, in una delle due boutique gastronomiche per rendersi conto delle dinamiche. Il bancone lunghissimo, spaziale, è oggetto di lunghe, interminabili code, tant'è che il contapersone, nei fine settimana, supera le 1.500 presenze giornaliere. Ma nessuno dà segni di impazienza. Nulla pesa perché quello è, innanzitutto, un luogo che accoglie. A consacrare l'ingresso in questo tempio delle cose buone una vigorosa stretta di mano dei fratelli, spesso una battuta, ma soprattutto un calore che conquista, mette subito a proprio agio, insieme ad un chiacchiericcio diffuso che restituisce freschezza, aria di festa. I fratelli Leonessa salutano amici, prima ancora che clienti. Questo è l'ambiente, questo il clima che si respira!
Una sorta di animazione a gettata continua (inaspettata per una del nord come me) rende certamente l’attesa al bancone più lieve.
Accade infatti che dal pullulare di commessi dietro il banco ogni tanto si distacchi qualcuno: chi per preparare caffè, chi per affettare torte di verdure o dolci che vengono offerti a rotazione alla clientela , chi per gonfiare palloncini da distribuire ai bambini.
Non so da che parte girarmi, vorrei afferrare con gli occhi tutto quel che accade lì dentro ma è impossibile. In ogni angolo prendono forma piccoli spaccati di vita, scambi curiosi. E’ veramente colore. E momento atteso a tal punto che la ventilata idea, qualche tempo fa, di spostare uno dei due locali ha innescato una sorta di sollevazione popolare. Come se quel comune  rischiasse di perdere un’anima, un’identità…
Diego, Oscar e Luigi hanno certamente peculiarità diverse e  complementari fra loro ma una cosa è certa: li scalda il fuoco della passione per questo mestiere, quella che tiene la testa in continuo movimento ed è prolifica di idee, tante. L’ultima scommessa, straordinaria, entusiasmante, la stanno giocando presso l’Interporto di Nola. In questo contesto spersonalizzato, dedito  alla sola logistica, la sfida è stata di rilevare un grande bar tabaccheria, una struttura a mo’ di mensa, grigio come l’ambiente circostante e trasformarlo in un gioiello di estetica, raffinato e curatissimo in ogni particolare,  e modello di un nuovo format: il Leonessa pasta bar.


“Luogo in cui accanto alla macchina del caffè c’è un piano cottura per spadellare una pasta come si deve”, questa almeno la descrizione di Diego, il fratello minore, occhi ridenti che corrono veloci e una carica di energia travolgente.

Ma giunta sul posto verifico  con i miei occhi che quel locale è davvero molto di più, ossia luogo di culto del buon cibo prodotto in modo espresso, veicolazione di tradizione, esercizio per il palato solleticato dalle mani di abili e noti chef ospiti  a rotazione della struttura. Ma anche educazione alle cose buone, grazie a una selezione di prodotti che, sottolinea Diego, "è innanzitutto scelta delle persone che ci stanno dietro. Io guardo alle persone. Da questo capisco se con loro possiamo crescere”. Tutto questo all’interno dell’interporto di Nola! Il locale è aperto da pochi mesi, ma è già un allegro pullulare di gente che si muove con famigliarità. L'impronta è sempre quella e la risposta della clientela pure. Ogni iniziativa che prende vita a casa Leonessa è frutto di una meticolosa ponderazione, ma si conferma una garanzia.
Una sorta di potere calamitico, capace di attrarre, di esercitare richiamo, si configura come un inconfondibile marchio di fabbrica! E quando, nel discorrere emerge che il 70% della produzione del pastificio viene assorbito dalle attività dirette poste in essere dai tre fratelli, beh! a quel punto mi fermo in ossequioso silenzio.


Imprenditori? Indubbiamente sì, di quelli che andrebbero interrogati e studiati a lungo. Perché i fratelli Leonessa fanno scuola.
Simona Vitali



venerdì 1 maggio 2015

LA TORTA DELLA SAGRA


La mia golosità mi porta più spesso ad indagare di dolce che di salato.
Così, nell'interrogare la mia inesauribile nonna Rosetta, è emerso nitido il rito, perché di questo si trattava, della  preparazione  delle torte per la sagra del 15 di agosto di una volta, la più sentita in quel di Felino (PR). 
Nella settimana precedente la festa scattava una specie di conto alla rovescia: ogni giorno era scandito da un lavoro diverso, in modo da arrivare al “tutto pronto” nel giorno della sagra, quando si sarebbero aperte le porte agli ospiti, i parenti provenienti da altri comuni.
La preparazione delle torte impegnava almeno tre giorni perché se ne produceva una bella varietà: dalla crostata di prugne alla croccante torta di mandorle, fino alla spumosa  torta di marzapane nonché all’eccelsa torta della sagra. Se le prime due (prugne e mandorle) venivano realizzate a casa e necessitavano solo della cottura al forno pubblico, le altre contemplavano  una preparazione espressa, parzialmente (torta sagra) o per intero (marzapane), direttamente al forno.
In particolare la torta di marzapane richiedeva la presenza di due persone perché, non esistendo sbattitori, bisognava utilizzare la sola forza delle braccia per montare gli ingredienti. Mentre una donna montava in un tegame i rossi d’uovo con lo zucchero, contemporaneamente l’altra, servendosi di un recipiente più grande, sbatteva le chiare a neve fermissima. I due preparati venivano uniti insieme, si aggiungeva la fecola e si versava il composto in una capace teglia di rame. Una piccola parte di questo composto veniva versata, a mò di cappello, su un’altra torta multistrato di pastafrolla, preparata a casa e farcita con ogni ben di Dio.  
Le basi da cuocere dovevano essere pronte entro un orario prestabilito dalla fornaia perché, per tutte le massaie presenti (ed erano almeno una trentina!),  la bocca del forno veniva aperta una volta sola. 
Non erano ammessi ritardatari, pena la compromissione della lievitatura di tutte le torte.
Il risultato finale era una leggerissima e fragrante torta attesa dalla famiglia e dai parenti, abituati ad intingerla in una profumata coppa di malvasia. Ma l’apoteosi era data dalla torta della sagra, uno spettacolo per gli occhi con i suoi millestrati colorati e inebriante i sensi con il suo profumo.
La torta della sagra è impegnativa da realizzare e necessita della benevolenza del forno per la buona riuscita della cottura (l’aspetto più delicato), ma la condivido volentieri con chi, come mia madre, ama le sfide e le vince!
Ho voluto presentare proprio questa torta nell'ambito della "Tavola del mondo", al Museo Guatelli. La dedico a tutti coloro che continuano a mantenere questa realtà come cosa viva.

Presentazione della Torta della Sagra al Museo Guatelli, in occasione della Tavola del mondo

TORTA    DELLA    SAGRA
Ingredienti per la pasta frolla:                                           
750 g di farina                                                                             
260 g di burro                                                                               
260 g di zucchero                                                                         
un  uovo intero + due rossi d’uovo                                                                
un  limone grattugiato                                                                     
una bustina di lievito
vanillina o bacca di vaniglia
un cucchiaio di brandy
latte q.b.

Per la copertura:                                                                
75  g di fecola
120  g zucchero
quattro uova
una bustina di vanillina

Per la farcitura:
marmellata di prugne
200 g di amaretti
150 g di mandorle pelate
due cucchiai di zucchero granulare
rhum e alchermes  q.b.

Preparazione
Utilizzare una teglia di 28 cm. dai bordi alti. Imburrarla, infarinarla e rivestirla con uno strato sottile di pasta frolla fino al limite dei bordi. Bucherellare con una forchetta il fondo, poi stendere uno strato sottile di marmellata di prugne. Rivestire con un altro disco sottile di pasta frolla servendosi sempre della carta da forno per stenderla. Bucherellare di nuovo poi stendere le mandorle precedentemente macinate non troppo fini, impastate con i due cucchiai di zucchero e l'alchermes (l'impasto deve risultare piuttosto compatto). Rivestire con un altro disco di pasta frolla sottile, bucherellare , disporre poi gli amaretti dopo averli imbevuti, non eccessivamente, nel rhum. Ricoprire con un altro disco sottile di pasta frolla e bucherellare di nuovo.
A parte montare quattro rossi d'uovo con lo zucchero, fino a che diventino spumosi, aggiungere poi la fecola setacciata, la vanillina e, per ultime, le chiare montate a neve. Versare questo composto morbido sulla torta avendo cura di livellare i bordi di pasta frolla con lo strato di marzapane.
L'ideale modalità di cottura di questa tipologia di torta, così strutturata, sarebbe quella del forno a legna, per qualche ora, affinché tutti gli strati di pasta frolla cuociano uniformemente.