lunedì 27 aprile 2015

PIER LUIGI DI DIEGO, LO CHEF LIBERO DA SCHEMI

Metti un bistrot che si affaccia sulla piazzola interna di un signorile palazzo, dove guardando in alto vedi il cielo attraverso una bella geometria di vetrate, e una cupola di alici marinate di Porto Garibaldi, belle grasse e invitanti, accompagnate da biscottati crostini. C'è già quanto basta per iniziare a volare via!
Mi avvento sulle alici come se fosse un sacchetto di patatine, una tira la l'altra. Le divoro avidamente non preoccupandomi nemmeno di preservare uno spazio per altri piatti. Prima di ritrovarle ancora così buone!...
Mi trovo al Bistrot La Borsa a Ferrara, la seconda creatura dello chef Pier Luigi Di Diego, dopo il rinomato ristorante Don Giovanni, limitrofo. Sono ferma alla alici, il piatto più semplice, o per meglio dire conosciuto, fra quelli in menù. Pochi ingredienti sapientemente calibrati mi restituiscono un'armonia di sapori straordinaria! Già parla la mano che ci sta dietro.
Una simpatica lavagnetta treppiedi con il menù del giorno, scritta dallo stesso Pier Luigi, che viene spostata da un tavolo all'altro via via che si deve ordinare, stuzzica, stuzzica su più piatti. È briosa tentazione, emana effervescenza e porta a chiedersi "oggi di cos'ho più voglia tra tutto questo ben di Dio?"
Ci pensa Laura Galantuomo, la giovane moglie di Pier Luigi, a guidarmi nella scelta. Si avvicina al tavolo, discreta e sorridente, mi racconta e consiglia. Crea una bella atmosfera il suo approccio. Lascia un segno.  Fino a qualche tempo fa c'era Marco Merighi, socio di Pier Luigi e maitre di sala, trasferitosi all'estero. Ora c'è lei, bellissima in quel ruolo. E professionale, con l'impronta di impresa che sta conferendo all'attività.
Ha fatto la sua scelta di lasciare un'importante posizione sempre nel settore ed è salita in tandem con il marito, a condividere un progetto. Con coraggio e con forza. Se li guardo insieme dico con amore.


A tratti compare Pier Luigi, si affaccia sulla scena, un saluto, una battuta o il servizio di un piatto al tavolo. Informale, bizzarro, fuori dalle righe.  La sua spontaneità ispira al primo approccio simpatia, parla in maniera diretta lasciando trapelare un bel pensiero libero da schemi. Motivo per cui la simpatia per lui, perlomeno la mia, raddoppia.
Ha tanti amici Pier Luigi e nella sua cerchia di "addetti ai lavori" ne conta di molto cari. Come  Bruno Barbieri, che oggi è arrivato al bistrot in compagnia di un paio di commensali ed è entrato con la familiarità di uno che si sente a casa sua. A legare Pier Luigi a Bruno Barbieri come a Giacinto Rossetti, Igles Corelli, Mauro Gualandi e poi Marcello Leoni, Italo Bassi, Marco Ghezzi, Sandro Trioschi, Vincenzo Morgia fu il Trigabolo, una delle esperienze più straordinariamente visionarie e innovative del fare ristorazione in Italia, che ha preso  vita in quel di Argenta tra il 1983 e il 1993. Uno dei pochi casi in cui la critica si è trovata concorde all'unisono nel riconoscerne l'incredibile valore sotto molteplici aspetti: a partire dal reale lavoro di squadra, senza rigide gerarchie, con libertà di apporto di idee da parte di tutti, la liberazione della creatività, il cambio del menù ogni giorno...

Non sorprendiamoci quindi se in Pier Luigi troviamo quel guizzo che lo rende altro e per questo così bello rispetto al modo più comune di approcciare alla cucina. All'epoca del Trigabolo era un giovanissimo chef, lì si è forgiato e lì ha preso il coraggio di manifestarsi come lo vediamo oggi. Siamo affamati di saperne di più, noi arrivati dopo. Pier Luigi e compagni di brigata, sono queste le notizie con cui ci vogliamo nutrire. Non può esserci cultura enogastronomica nel nostro Paese senza una conoscenza di ciò che di meglio ha saputo partorire!
Simona Vitali
Bistrot La Borsa – Ristorante Il Don Giovanni
Corso Ercole I d'Este, 1
44121 Ferrara
Tel. 0532 243363
www.ildongiovanni.com

sabato 25 aprile 2015

25 APRILE, IL PROFUMO DELLE SERENELLE

Questo è il ricordo di una ragazza che, nel 1945, aveva 15 anni e poi è diventata mia nonna. Riporto la testimonianza scritta di suo pugno!


Oggi pomeriggio, approfittando della bella stagione, ho cominciato a fare i miei giretti in cortile. Insieme a me c'erano anche Anita e Sofia, le mie pronipotine. Mentre loro giocavano, io guardavo ammirata i bei fiori che stanno sbocciando nel nostro giardino. Ogni tanto mi si avvicinava anche Mio, il nostro amato gattino, alla ricerca di coccole e qualche complimento. Passando davanti alle serenelle, ormai in piena fioritura, tanti ricordi lontani e mai dimenticati riaffioravano alla mia mente. Fra pochi giorni ricorre il 25 aprile, una data storica perché, 70 anni orsono, ha segnato la fine della guerra.
Non mi sembra vero che sia trascorso così tanto tempo!  È stata una giornata meravigliosa, tra le più belle della mia vita. Uscivamo da una guerra con la paura e l'incubo che non dovesse mai finire. La guerra porta solo dolore, lutto, distruzione. Tutti i giorni ci alzavamo dal letto con tanto timore nel cuore. Mia mamma ripeteva sempre: "come sarà oggi?".
Quella mattina era andata in paese per portare a cuocere il pane al forno pubblico (di sapore di pane aveva ben poco perché le farine che ci venivano date con la tessera, una volta impastate, assomigliavano più a cemento che a soffice e bianco pane dal gusto inconfondibile). Ricordo, arrivò a casa tutta trafelata tanto da non riuscire neppure a respirare dalla corsa che aveva fatto e dalla gioia che teneva nel cuore.
Si rivolse a mio papà, che stava lavorando davanti al suo deschetto da calzolaio ed esclamò, con quel poco fiato che le era rimasto: "Gino, Gino, è finita la guerra!". Mio papà, con la sua calma proverbiale, si alzò in piedi, scosse con la mano il suo grembiule dai ritagli di cuoio e disse: "Per oggi ho lavorato abbastanza". Ci trovammo abbracciati tutti, mentre piangevamo di gioia.
Mio padre andò a cambiarsi, mise il vestito della festa con tanto di camicia bianca e cravatta, poi andò verso la piazza del paese a festeggiare con i suoi amici.
Io presi in braccio il mio fratellino, che allora aveva 2 anni, poi con la mamma, mia sorella e il nonno ci recammo all'inizio del borgo dove abitavamo perché, affacciandosi sulla strada principale, immaginavamo che avremmo trovato tante altre persone in festa... cominciando da tutta la nostra borgata. L'allegria, la gioia di quel giorno che accomunava tutti, non riesco neppure a descriverle. Si cantava, si ballava, ci si abbracciava e si piangeva anche di gioia... forse ancora increduli davanti a una libertà tanto attesa e ora materializzata in un giorno che sarebbe passato alla storia.
A completare quest' atmosfera gioiosa,  erano i canti patriottici di partigiani che sentivamo in lontananza e che mano a mano si avvicinavano verso di noi. In testa alla sfilata c'era il loro capo, un certo Afro Schiaretti in sella a un cavallo bianco. Gli cantavano in coro: " Quando vedrai un uomo con la barba ricordati che è Afro il capo banda, quando vedrai un uomo coi baffetti ricordati che è Afro Schiaretti".
Al suo passare la folla lo acclamava, lo applaudiva e gli lanciava le serenelle, unici fiori che potevamo permetterci allora. Ecco perché questo umile fiore suscita in me, ancora oggi, tanta emozione e gioia. 


In quella giornata, benedetta da Dio, nessuno ha cucinato e pranzato. Siamo rimasti fino a sera sulla strada per assistere agli avvenimenti lieti che si sarebbero susseguiti. 
Nel pomeriggio ci siamo portati sullo stradone di fronte alla villa Caumont Caimi per vedere passare i carri armati americani. Pure lì battimani a non finire e loro ricambiavano l'accoglienza gettando caramelle e cioccolata a noi bambini.  In quella villa fecero presidio per diversi giorni e la cosa bella è che al mattino preparavano pentoloni di caffè puro, il cui profumo si diffondeva per la vie vicine.
Ricordo che ne distribuivano generosamente a chi andava ai cancelli della villa. Bastava portare un pentolino e te lo riempivano. A quei tempi era bevanda preziosa perché non si trovava il caffè in commercio, ma solo miscele d'orzo o di altri cereali tostati.
Miei cari nipoti, il 25 aprile 1945 è una data che rimarrà tra i ricordi più belli della mia vita. Chi ha la mia età e la fortuna di ricordare questo giorno, avrà scolpita nel cuore quella gioia immensa che solo la libertà e la pace riconquistate sanno portare.
Nipoti cari vi auguro, con tutto l'amore che ho per voi, che non dobbiate mai e poi mai subire una guerra, fonte di dolore e distruzione inutili, ma che scorra su questa terra, come un fiume in piena, la concordia tra i popoli a salvaguardia di una libertà faticosamente riconquistata dai nostri nonni e padri. Ricordate: " La pace di oggi è frutto del coraggio dei giovani di settant'anni fa! "

Nonna Rosetta

martedì 21 aprile 2015

CENTOMANI PER UN SOLO CORALE ENTUSIASMO

Era nell'aria, si percepiva già da tempo. Il tam tam dei social, i passaparola, hanno lanciato nell'ultimo mese un segnale inequivocabile. E in questi giorni si è fatto più tangibile. Sì, l'entusiasmo in certi frangenti diventa materia, lo tocchi con mano. Ti muove dentro come un fermento. Una smania.
E al nastro di partenza si trasforma in atmosfera, brezza che avvolge e trascina.


"Centomani di questa terra", la festa voluta dai cuochi e dai produttori di CheftoChef emiliaromagnacuochi e ospitata nella suggestiva Antica Corte Pallavicina (Polesine Parmense), è giunta quest'anno alla sua espressione migliore. Un'apoteosi, tra spessore delle iniziative e partecipazione di pubblico. Da lasciare a tratti basiti.
Lo ha espresso bene lo chef Chicco Cerea, che di eventi ne realizza e ne vive tanti, ospite e relatore a Centomani" ho nel cuore e negli occhi l'atmosfera di quando sono arrivato stamattina, posso solo immaginare l'impegno della famiglia Spigaroli, perché questo evento è qualcosa di speciale davvero".


Al termine di una giornata infinita, nel ripensare a questa grande festa, perché così è stata concepita, mi sono chiesta cosa abbia portato a un tale successo. Certamente diversi contributi.
A partire dall'ospitalità dei fratelli Spigaroli, che hanno messo a disposizione l'intera struttura interna ed esterna della Corte. Ogni spazio era accessibile a tutti, si poteva transitare e sostare in ogni dove, tra l'argine del Po, il ristorante, la corte interna, la magica cantina dei culatelli, il porticato. Tutta la brigata di cucina era attiva, a supporto delle diverse postazioni adibite a show cooking.


E poi un'associazione, CheftoChef, compatta, unita negli intenti, che ha saputo prima mettere a punto un nutrito programma non dimentico dei produttori, l'anima della cucina, e poi un ciclo ininterrotto di convegni con un parterre di oltre 50 autorevolissimi ospiti, tra cui Paul Bartolotta, Antonio Santini, Gennaro Esposito, Iginio Massari, Chicco Cerea, Giovanni Ballarini, Davide Oldani, l'assessore all’agricoltura della regione Simona Caselli, da non credere che fossero riuniti tutti insieme. E non ultima un'alternanza di show cooking che hanno visto susseguirsi, ininterrottamente per tutto il giorno, i 50 chef emiliano-romagnoli.
Ha fatto la sua parte anche il  pubblico che è arrivato credendo in questa festa. Con la voglia di far festa.


La coralità, la moltiplicazione dei singoli entusiasmi, è capace di effetti sopra le aspettative.
Oggi è andata in scena una regione, l'Emilia Romagna, molto vasta e con un'elevata diversità di prodotto, da Piacenza fino a Rimini. La sfida era quella di rappresentarla adeguatamente. L'impostazione dell'evento  ha dato ampiamente misura di un approccio cosciente degli chef ai prodotti: lo studio, la ricerca in loco, restituisce loro il polso del territorio.
Può quindi un gruppo di chef, e non un'altra categoria, pensare di mettere in filiera il proprio territorio rivestendo, come direbbe qualcuno, un  ruolo politico (nell'accezione buona, di bene comune) e culturale, con un progetto strepitoso che intende arrivare ad Expo solcando le vie d'acqua, di terra e dell'appennino, con tappe ed eventi lungo il percorso?



Secondo il Maestro Iginio Massari Expo è di tutti quelli che se lo vogliono prendere.  Avanti tutta quindi, Cheftochef pare avere un buon nervo e il territorio ci crede!
Simona Vitali

Foto di Ivano Zinelli

venerdì 17 aprile 2015

LA PIZZA DI PAESE DEI FRATELLI ROSSI

Benedico quel ritardo sulla tabella di marcia destinazione Le Strade della Mozzarella, che mi ha obbligato a una tappa non prevista per poter  mangiare qualcosa entro l’orario consentito!
Mi ha fatto decidere di deviare per Alvignano, in provincia di Caserta, dai fratelli Rossi, pizzeria Élite.
Mamma Rita, il nipote, Pasqualino e Gianluca Rossi
Sono arrivata alle 23,30, temendo di essere in un tempo limite, e mi sono trovata la coda di gente fuori dal locale in attesa del proprio turno, il quinto giro di tavoli da inizio serata! Un allegro chiacchiericcio scaldava l’atmosfera e restituiva un friccichio interiore. Più che in coda la gente sembrava ad un ritrovo, un luogo di relazione.
Prima piacevolissima sensazione l’atemporalità. Quando certi paletti saltano lo si avverte subito e dopo un iniziale leggero smarrimento non si fa fatica a trovarcisi coinvolti, fino a provarne gusto.  Un modo diverso di esperire la vita apre a riflessioni sulla propria. Ecco perché è bello viaggiare in lungo e in largo per l’Italia, giusto per cominciare a conoscere meglio casa nostra.
Giunto il mio turno mi accoglie Gianluca, solare, e mi fa accomodare in un posto privilegiato, “ti metto vicino a Pasqualino”, un tavolino con vista! -penso io-, accanto al finestrone che si affaccia alla cucina, dove Pasqualino è intento a infornare pizze su pizze (lo fa da quando aveva 14 anni e ora ne ha trenta), nel forno a legna che lui stesso ha costruito.

pizza La Grande Bellezza
Effettivamente la mia postazione si rivela ben presto uno strategico punto di osservazione. Da qui mi gusto una selezione di pizza (in realtà una vera e propria verticale di pizze) da togliermi l’uso della parola se penso alla superbia della sua creatura, la Grande Bellezza (dedicata a Toni Servillo, spesso ospite del locale), con il cornicione ripieno di ricotta, o alla pizza rind u’ ruoto  (impasto nato nel XVI secolo a Napoli da un pane schiacciato e cottura in teglia tonda), o ancora la pizza Donna Rita con scarola, capperi di Pantelleria, acciughe di Cetara, olive caiazzane, bufala affumicata ed olio extravergine di oliva, in cui ogni boccone esprime al meglio la qualità eccelsa degli ingredienti. L’originalissimo menù, fantasioso e stuzzicante, è di una tentazione unica!

pizza rind u'ruoto

In questi frangenti sgrano due occhioni così nel vedere passare clienti su clienti, come in processione, che prima di uscire dal locale si dirigono verso il finestrone della cucina per salutare Pasqualino.  E lui si discosta dal forno e si affaccia sorridente a salutare, intrattenendosi per qualche istante. 
Ad un tratto ho una visione:  quel finestrone rivestito di legno scuro pare un confessionale, e lui Pasqualino, il “religioso” che accoglie i suoi  fedeli! Una cosa è certa, quello è un tempio della pizza!
Con tutti, dentro la pizzeria Élite, si usa la stessa cordialità. Che siano vecchi o nuovi clienti. Gianluca e Pasqualino, sanno bene che c’è  chi ha percorso 150 km in una sera, venendo appositamente da Roma, per poter gustarsi la pizza. E la loro risposta è gratitudine.
Cari fratelli Rossi, adoro il calore con cui sapete accogliere e l’apprezzamento che manifestate verso chiunque vi si approssimi per dirvi la sua. La vostra  genuinità che apre il cuore e libera le arterie.
C’ è una grandezza che andate costruendo col mestiere e un’altra che già vi appartiene, quella della gioiosa spontaneità. Dicono che potrebbe essere contagiosa. Che la forma virale imperversi!

Simona Vitali


Pizzeria Élite
Corso Umberto I°, 168
81012 Alvignano (CE)
Tel. 0823 869092
www.pizzeriaelite.it

venerdì 10 aprile 2015

L'ALTRA VENEZIA

È bello perdersi nell’intreccio di calli della Venezia non turistica, l’altra Venezia, che si addentrano fino all’anima di questa splendida città. Se non si hanno destinazioni da raggiungere, e qui davvero non è semplice infilare il percorso giusto!, vale la pena di abbandonarsi a un vagare in libertà.


Tutto ciò che si incontra lungo la via ha un sapore diverso in quanto inaspettato, l’occhio è più attento perché la percezione è che si innalzi la qualità di ciò che si incontra, tra scorci mozzafiato e particolarissime botteghe.
E quando meno te l’aspetti ti imbatti in qualcosa che ti stupisce e ti fa arrestare il passo. È quanto mi è accaduto recentemente quando, rapita da una vetrina che si affacciava su un laboratorio di pasticceria a vista, mi sono fermata ad osservare.
Qui un nonno e una giovane ragazza, fianco a fianco, modellavano pasta su un piano di lavoro, mentre se la contavano serenamente. Uno splendido quadretto da cui non riuscivo a staccare gli occhi.


Una piccola insegna recitava “Nono Colussi” e una varietà di dolci tipici veneziani faceva bella mostra in vetrina, in primis invitanti Fugase Veneziane.
Questo mi è bastato per entrare istintivamente nella bottega, senza neanche sapere cosa avrei acquistato. Prima della signora al banco mi ha accolto il brillante saluto del pasticcere all’opera, due occhi azzurri tutto brio, che ha cominciato a fare il cicerone a distanza. Uno spirito e una simpatia inaspettati! Una dovizia di particolari nel raccontare delle sue delizie, che maneggiava con estrema cura. Un orgoglio, di nonno, nel suo sguardo rivolto alla nipote ventenne. E’ lei che sta prendendo il timone di un’attività che deve continuare. A Venezia questa pasticceria è una piccola istituzione, viene tenuta in gran conto. Fra le altre cose solo qui si utilizza il lievito madre per le Fugase.


Il peggio è passato: c’è stato un tempo in cui Nono Colussi ha rischiato di chiudere definitivamente l’attività. Ha sparso la voce, fatto appelli. Per non abbassare la saracinesca avrebbe trasmesso tutta la sua arte a “qualcuno di buona volontà”, come dice lui. Ma chi si è affacciato si è spaventato per il troppo impegno che questo lavoro comporta.
Quando una famiglia è unita è una forza in se stessa. E la forza di continuare è venuta proprio da lì.


Simona Vitali


Pasticceria Nono Colussi
Dorsoduro, 2867
Venezia
Tel. 041 523 1871




martedì 7 aprile 2015

LA SERENA PROFESSIONALITÀ DI OGNI GIORNO

Tutti gli anni a Pasqua, per tradizione, la mia famiglia mi trascina fuori a pranzo. Tutti gli anni mi prende, in partenza, una sorta di "preconcetto pasqualizio".
Mi affiorano alla mente immagini di locali affollati, servizi caotici, piatti non completamente soddisfacenti.
Ecco, quest'anno, sono stata colta di sorpresa... ci ha pensato L'Osteria della stazione di Felino (PR).


Ad accogliermi un locale al completo, pieno sì, ma con l'equilibrio di una giusta distanza tra i tavoli. E poi la sistemazione in una bella veranda a vetrate che si affaccia sul giardino... neanche fossi in Provenza!
Il minimalismo di una linda apparecchiata, qualche uovo colorato sulla tovaglia a dar un delicato tocco pasquale, e una serena cortesia, quella che non è parente con la fretta.
Prim'ancora di avere una forchetta alla mano, uno stato di benessere mi ha pervaso, ben disponendomi a quello che sarebbe venuto. Altro aspetto positivo un menù ben articolato, quello ideato dallo chef Andrea Pesci, di quelli che non ti mettono nella difficoltà della scelta (della serie che niente ti ispira fino in fondo) ma bensì nell'imbarazzo della scelta (diversi sono i piatti allettanti).
In queste occasioni più che mai cerco la tradizione ma non disdegno qualche proposta particolare, stuzzicante. Qui ho trovato un giusto mix di tutto ciò.
Nel corso del servizio non una mancanza, non una disattenzione, non un piatto sbagliato. Non c'è stato bisogno di chiedere nulla, il cameriere vedeva e provvedeva prima di qualche possibile richiesta.
Eppure il locale era pieno anche qui, come mediamente accade ad ogni Pasqua che si comandi. In giorni come questi non divento più intransigente, di solito semplicemente abbasso le aspettative. Credo che si debba anche essere più comprensivi in certi momenti.
Sempre per via di questo principio mi trovo ad attribuire un valore quantomeno doppio a chi, proprio in giornate come queste, tiene alta la propria professionalità come se fosse la più comune e lineare delle giornate lavorative. Un'osteria a km zero dalla casa di famiglia (e di chilometri per locali in giro per l'Italia ne faccio parecchi) mi ha dato una bella lezione!

Simona Vitali



L’Osteria della stazione di Felino
Via Calestano, 14
Felino (PR)
Tel. 0521 831125
www.osteriastazionefelino.it




giovedì 2 aprile 2015

PIETRO ZITO E LA SUA GENTE

Non avessi visto con i miei occhi uno spassoso sketch fra due folkloristiche signore e lo chef Pietro Zito, patron del ristorante Antichi sapori di Montegrosso-Andria (BT)!... dicevo che se non fossi stata testimone di un esilarante scambio di battute fra i tre non avrei la misura del rapporto amorevole che corre tra Zito e la sua gente, i suoi conterranei.


Sono arrivata quando le signore, due pimpanti sorelle ultraottantenni sono venute a confessare a Zito di avere raccolto qualche amarena dalle sue piante e lui, benevoli occhi al cielo, sembrava che dicesse "Ossignore! Me ne avran fatto una razzia!".
Una simpatia che conquista, di quelle birichine, ha letteralmente disarmato Zito di cui, in quel momento, usciva tutto l'animo generoso.
Pietro Zito è innanzitutto il suo orto grandioso, curatissimo, vera fonte ispiratrice della sua cucina. Stiamo parlando di un appezzamento grande quanto un campo da calcio, che intende coprire l'intero fabbisogno del locale, insieme ad altre coltivazioni che lo chef gestisce nel territorio.
Non un orto vetrina quindi, molto di tendenza in questo momento, ma un orto vero, a identificare inconfondibilmente una cucina.
Custode di quest'orto, quasi come un angelo che si aggira fra le corsie, è Francesco, il dinamico padre ottantenne, che alle 5 del mattino fa il sopralluogo per controllare lo stato di maturazione degli ortaggi. È lui che segnala alla cucina ciò che è pronto e la cucina predispone il menù di quel giorno.


Se penso a Pietro Zito credo che il concetto di essenzialità sia quello che più gli si addice. Lui parte dalla terra, quasi fosse la sua ispirazione. È un uomo pragmatico, con uno sguardo profondo, di quelli che vedono lontano.
È amato, amatissimo, nella sua Murgia ma la conoscenza di lui sta valicando i confini non solo regionali ma anche nazionali. Capita spesso che apra i cancelli dell'orto per dar vita a iniziative per la comunità: visite didattiche per scolaresche, riti condivisi con la propria gente come la giornata dedicata alla preparazione della salsa di pomodoro. La preoccupazione di trasmettere cultura, la consapevolezza che anche questo deve essere il ruolo di uno chef, c'è tutta in lui. Non a caso è parte delle PremiateTrattorie Italiane, una perla di associazione che riunisce altri 7 ristoratori, cultori di storia e tradizione.


Ho visitato l'orto insieme a Zito, una vera lezione estemporanea, improvvisata. "Guarda questo, assaggia quello...senti la differenza di profumo tra questa mentuccia e quest'altra...questa è meglio utilizzarla per..., l'altra per..."

Fra le mie mani si formava un bouquet orticolo via via che mi allungava rametti, erbe, verdure.
Un profondo conoscitore della proprietà dei frutti dell'orto ha l'obiettivo innanzitutto di rispettarli, esaltandone le caratteristiche. La regola numero uno per Zito è far parlare le verdure che utilizza, far uscire il croccante piuttosto che l'amaro. Cucinare in purezza.
Curiosa la sua abitudine di mettere l'orto a disposizione di clienti e conoscenti nel periodo di chiusura estiva dell'attività, perché nulla vada sprecato.
Questo chef affronta tanto un tam tam quotidiano al ristorante quanto giorni e giorni di pranzi e cene per i festeggiamenti del sontuoso matrimonio indiano che ha scelto la bella Puglia come location, che tanto ha fatto parlare i media nazionali. Tutto questo con lo stesso fare, tranquillo, senza scomporsi. 


Perché Pietro Zito ha innanzitutto un punto fermo dentro di sé. Lo dicono chiaramente le latte del suo olio extravergine, dove ha fatto stampare l'immagine del padre nell'orto. Un omaggio a chi lo tiene saldamente ancorato alla sua terra.

Simona Vitali

Ristorante Antichi Sapori
Piazza S.Isidoro, 10
Montegrosso di Andria (BT)
Tel. 0883 569529
www.pietrozito.it