domenica 22 febbraio 2015

TUTTO PARTE DA QUI

Massimino, Alba e Rosetta
Tre sono i valori che i miei nonni, chi nell’osteria chi nella bottega, hanno espresso nell’esercizio quotidiano dei loro mestieri. Li ho assimilati quasi inconsapevolmente e, divenuta adulta, sono emersi prepotenti a guidarmi come fari nell’intrigante e variegato mondo della cucina.

Luciano, Renato, Carlo e Anna
Il primo valore: la maniacale ricerca e selezione di materie prime e prodotti
Nel lontano 1937 il mio nonno materno, Massimino Pelosi, rilevava insieme alla sua famiglia una bettola, nei pressi della stazione tramviaria di Felino (PR), destinata a lavorare, e tanto, per 54 lunghi anni.
A quell'epoca si presentava come un'assai curiosa baracca di  legno in stile svizzero per i suoi festoni che contornavano i tetti spioventi, adibita a osteria e spazio vendita di prodotti di prima necessità.
La chiamavano in tanti modi: l'Osteria della stazione, da Masmèn o più semplicemente la Baràca, e più avanti Betolén.
Da Masmèn, insieme a una ciotola di vino, si potevano assaporare anche cibi gustosi. E ciò che, soprattutto oggi,  lascia più stupiti è lo scoprire che dietro ad ogni prodotto proposto o piatto cucinato c'era una storia. Tutto aveva un suo perché, essendo passato dalla meticolosa valutazione di un palato sopraffino e da sapienti e scrupolose mani.
A partire dalla scelta accurata dei vini che Massimino andava personalmente a selezionare e acquistare, in sella alla sua motoretta Ducati Cucciolo, restando per alcuni giorni lontano da casa. In quegli inverni precoci tornava intirizzito dal freddo, con le ciglia rigide e bianche di brina.
Ducati Cucciolo

Non meno impegnativa la scelta dei salumi che faceva stagionare in quelle cantine sotterranee, costate sudore e sangue perché sfondate a mano, a colpi di piccone e badile, con l'aiuto di suo padre e dello zio Gigio. Ne uscivano prosciutti sublimi e salami che ‘facevano l’olio’, segno di prolungata stagionatura.
Un vero e proprio rito era la preparazione della spalla cotta. 
“Mio padre acquistava solo spalla cruda di San Secondo Parmense e la  predisponeva alla cottura immergendola in un bigoncio di acqua fredda, cambiata ogni giorno per un’intera settimana, per far sì che la carne si ammorbidisse. Seguiva poi la cottura, effettuata in una caldaia su fuoco a legno in cui la spalla trovava collocazione insieme d abbondante acqua e verdure aromatiche” racconta mia madre Alba.
Spalla cotta di San Secondo
Il tutto era accompagnato da un’altra specialità: la torta fritta, un piatto povero ma gustoso di antichissime origini. Solitamente veniva fatta e tirata a mano con la cannella.
“Negli anni’70 - ricorda Alba - mio padre ideò anche la macchina elettrica per impastare la torta fritta, che costituì un aiuto notevole al suo lavoro in espansione”.
La ricerca degli ingredienti eccellenti era il filone comune di questa famiglia, la regola dettata da un’intransigenza che non concedeva sconti alla qualità del prodotto finito.
Quella caratteristica baracca in legno di inizio ‘900 è stata, nel corso degli anni,  sostituita da una struttura in muratura, mantenendo però sempre quell'impronta, quell'essenzialità nella forma e grande pregnanza nella sostanza. Oggi quei muri sono intrisi indelebilmente di un vissuto ricco e prezioso, l'impagabile cantina sfondata a mano è stata ampiamente valorizzata, avendo ispirato il nome di un ristorante, La Cantinetta, che proprio qui ha conquistato la stella Michelin, rimanendo sulla breccia per un ventennio e lasciando, da qualche anno, il testimone ad un'osteria, chiamata l'Osteria della stazione per omaggiarne le origini.
Quale soddisfazione più grande per un lungimirante oste di provincia che tanti anni prima aveva fatto della ricerca dell'eccellenza la propria missione!
Ristorante La Cantinetta
Il secondo valore: il rito nella preparazione di specialità gastronomiche
Entrambe le nonne, Rosetta e Anna, si applicavano ogni giorno alla creazione di specialità gastronomiche, perché a questo avevano abituato i propri clienti. Non posso dimenticare la metodica predisposizione di questi momenti in cui si apprestavano a preparare in modo rigoroso tortelli d'erbette, di zucca o di castagne e torte dolci, tortelli di marmellata o biscotti.
Ogni ricetta contemplava una sorta di sacra ritualità che si ripeteva, sempre uguale a se stessa, ogni volta che queste due provette rezdore vi mettevano mano. Lo stesso Baldassarre Molossi, indimenticato direttore della Gazzetta di Parma e raffinato gourmet,  sosteneva che “il rito si ripete nel tempo: senza fantasia. La forza sta qui: i bastioni della perseveranza stroncano gli attacchi delle contraffazioni, difendono la civiltà della cucina”.
Tortelli di zucca

Non posso non citare la pazienza certosina di nonna Rosetta quando in quella linda cucina-laboratorio, rivestita di mattonelle bianche “tirate a specchio”, preparava il ripieno di castagne.
“Dopo l’ammollo e la lenta cottura le castagne, venivano aperte una a una per togliere le impurità e poi passate a mano in un fine setaccio. Si macinava poi la mostarda finissima, si riducevano in polvere gli amaretti e si assemblava il tutto innaffiando con ottimo rhum. Il prodotto finale era un aromatico impasto liscio e vellutato che andava fatto riposare per alcuni giorni perché maturasse il suo sapore migliore” spiega Alba.
Le torte inzuppate della nonna Anna erano certamente il suo cavallo di battaglia, ciò che l'ha resa unica e ricercata anche da clienti fuori provincia, e anche la ricetta più impegnativa.
La preparazione richiedeva almeno due giorni di scrupoloso lavoro, a partire dalla realizzazione della base soffice con sole uova, zucchero e fecola. Quante volte, tentando di emularla, ho schiantato la torta!
E poi, il giorno successivo veniva la suddivisione della torta in tre dischi e la farcitura, altro esercizio in cui il non detto, la mano, valeva molto di più di qualsiasi indicazione scritta. Sì perché il segreto era la giusta inzuppatura, data da un mix di liquori (fra alchermes, sassolino, rosolio e altro) che la nonna alternava con sicurezza, dosandoli a occhio. La base inzuppata veniva quindi rivestita da uno strato di crema pasticcera e un sottile velo di panna montata, poi la sovrapposizione di un disco inzuppato, altro strato di crema di cioccolato e panna fino al cappello della torta. A quel punto la torta veniva rivestita di un generoso strato di panna e relativi puffetti.
Ecco, quella torta non l'ho più ritrovata, né per mano di rezdora né per mano di pasticcere. E' rimasta là nel limbo delle cose buone che troverò in Paradiso.

Il terzo valore: la gratitudine
L'affabilità con la clientela, attraverso il piacere reciproco di uno scambio di battute durante il servizio, spesso molto di più: la confessione delle proprie pene o preoccupazioni. Perché anche questo era un bisogno di chi si recava alla bottega o all'osteria.
In particolare il nonno paterno Renato, nella sua bottega di alimentari e gastronomia, spiccava per una simpatia contagiosa che spesso trascinava in fragorose risate le massaie in coda per la spesa e non era inusuale che ne afferrasse una per farle fare un giro di valzer. Quel lavoro lo amava davvero, era come la sua ricarica. Faceva di tutto per accontentare i clienti. Ciò che di nuovo gli chiedevano il giorno successivo glielo aveva già procurato. Grande ottimista, amava la vita in tutte le sue sfaccettature e ti travolgeva di buonumore. Giunto alla inevitabile decisione di abbassare le saracinesche continuava a ripetere che il più grande errore della sua vita era stato quello di smettere!

Simona Vitali

2 commenti:

  1. Buon viaggio Simona!
    Il tuo cammino è iniziato raccogliendo questa eredità così importante e bella dei tuoi nonni, credo che ne sarebbero molto contenti. Grazie per condividere le tue ricette di famiglia, e quelle che ti piacciono di più. Sarà un piacere seguirti. Un caro saluto. Giuliana

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    1. Ciao Giuliana, la prima che mi ha dato fiducia! Grazie delle tue parole, le ho tanto gradite. Anch'io ti seguirò con piacere e interesse. Hai una bella creatura. Simona

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